giovedì 8 ottobre 2015

Calipso a casa

8 Ottobre 2015
Ore 20.00
Ho appena lasciato Calipso che impastando il cuscino dentro il suo igloo mi dava la buona notte a suon di fusa.
Ma andiamo a ritroso.

Ieri sono scappata via dal lavoro prima del dovuto, non vedevo l’ora di tornare a casa, mettere i volantini che avevo fatto nelle cassette delle lettere e cercarla ancora per quanto possibile. Poi avevo il corso, ma non ne avevo voglia di dipingere. Avevo solo voglia di piangere. Arrivata a casa ho lasciato la borsa in giardino e son andata verso il retro. L’ho chiamata e ho subito sentito il suo tipico miagolio stridulo ma non volendomi illudere ho cercato il gatto miele, Hans. Perché nei giorni scorsi ce l’avevo in mezzo ai piedi mentre la cercavo e il suo miagolio mi confondeva irritandomi alquanto. Ma Hans non c’era. Mi sono impietrita, non ho voluto lasciarmi andar alle emozioni colme di speranza. Sono andata ancora più in fondo verso casa di mia zia e l’ho vista dietro la rete, accucciata dove si metteva d’estate nell'angolo tra tre giardini: il mio, quello della "casa di dietro" e quello di mia zia. Nel passaggio verso il giardino di mia zia. Ha miagolato più forte e in modo sofferente. Ho sollevato il telo oscurante e l’ho vista chiara, nitida. La mia Calipsina. Sono corsa a prendere le forbici da giardino per cercare di tagliare la rete di metallo mentre urlavo il nome del figlio del vicino. “Paolo!! Paolo!! Vieni subito e porta delle tenaglie. Prendi le chiavi ed entra da solo!”. Corro verso la rete dalla parte di mia zia e inizio ad armeggiare con le forbici ma il fil di ferro è grosso e le forbici inadatte. Tento a mani nude di allargare un varco già presente ma lei non si muove. Capisco che anche se si fa un’apertura nella rete lei non ci passerà mai. Deve essere ferita e salire sul muretto potrebbe essere difficile per lei. Blocco Paolo, gli chiedo di stare immobile dov'è e non muoversi per evitare che Calipso scappi. Corro in casa a prendere il trasportino, quello usato per Margot, piccolo e di tessuto rigido. Non ho altri ricordi di quei momenti concitati, a parte le facce di Milù e Oscar nel vedermi schizzare dentro casa come una furia.
Mi arrampico sulla rete di confine con la casa di dietro, dalla mia parte, mentre la piccola resta ferma nell'angolo dalla parte di mia zia. Salgo sopra il tetto del barbecue del vicino, dove è solita mettersi a prendere il sole o a ripararsi dalla pioggia e scivolo giù con un balzo appesantito dalla ormai dimenticata sportività. Lei indietreggia verso una scatola di cartone rovesciata. Chissà se nei giorni scorsi era là sotto e per questo non la vedevamo! Quante volte abbiamo guardato in quell’angolo? Magari invece è tornata lì proprio quella mattina. Mi avvicino e mi soffia. Ho la certezza che è ferita. Cerco di sistemare il trasportino in modo che ci vada lei, ma non trovo una posizione affidabile. Lei nel frattempo va sotto il cartone, allora deciso di scoprirla, spostando il cartone e mi accorgo che ha la zampa posteriore sollevata. Quella meravigliosa zampetta color crema. "Ok è ferita, devo cercare di farla entrare nel trasportino", penso. Soffia. Tenta la fuga passando oltre il trasportino e lì ho deciso di agire subito senza più ragionare su strategie e tecniche. Dovevo fermarla. L’ho afferrata con le due mani sul dorso bloccandola. Si è dimenata come ha potuto per il dolore ruotando la testa all'indietro e morsicandomi le mani in ogni dove. Sentivo il dolore ma se l’avessi lasciata l’avrei persa per sempre. Non so come l’ho sollevata e infilata nel trasportino dove ha iniziato a saltare come un'indemoniata. Lo sportellino di rete semirigida era aperto ma avevo una mano paralizzata e avevo difficoltà a muoverla. Mi sembra che sia passato un tempo infinito. Ho invocato l’aiuto dall’Alto per darmi il tempo di chiudere quella maledetta cerniera. Lei continuava ad agitarsi dentro e non so come sia possibile che non sia scappata dall'apertura rimasta aperta per un tempo che sicuramente sarebbe stato sufficiente per farla uscire. Non so nemmeno come le mie dita siano riuscite ad afferrare la linguetta e chiudere la porticina, ma appena chiuso ho ringraziato il cielo. Il trasportino ha iniziato a saltare da terra. C’era una iena dentro.
Mi sono avvicinata al tetto del barbecue e ho avvicinato il trasportino a Paolo che dall'altra parte l’ha preso e messo a terra. Avevo sangue dappertutto e una mano insensibile nonostante un dolore lancinante. Ho poggiato le mani sul tetto per far leva e arrampicarmi ma hanno ceduto. Non ricordo come ho fatto a salire da lì e ributtarmi dalla rete nel mio giardino, ma ricordo perfettamente lo sforzo sovrumano nell'usare le mani diventate delle pale di dolore. Neanche a dirlo, appena ho toccato terra mi sono accasciata. Più cercavo di alzarmi e più mi sentivo mancare. Credo di essermi lavata le mani o forse l’ho pensato. No, devo averle lavate perché ricordo di aver sorseggiato dell'acqua. Il mio vicino mi diceva di non piegarmi in avanti, ma io non riuscivo a stare dritta seppure seduta per terra. Avevo solo un pensiero: portare Calipso dal veterinario. Ma il dolore mi impediva di essere lucida. Ho chiesto al vicino di accompagnarmi dal veterinario e quindi è andato a prendere l’auto per avvicinarla obbligandomi però ad andare a disinfettarmi le mani. Ho ricordi confusi. Mi sembra di essere rimasta sola in quel momento e di aver preso il cellulare per chiamare il veterinario. Dovevo decidere da chi portarla. Era l’una e mezza passata e non ero sicura di trovarli in ambulatorio. Ho fatto il numero del veterinario di Pitz’e Serra, il più vicino ma non ha risposto. Allora ho deciso di chiamare in clinica a Quartu, perché più vicina di Cagliari e portarla solo se ci fosse stato il mio veterinario di fiducia, anche lui si chiama  Paolo, altrimenti avrei supplicato il veterinario di Cagliari di tornare in ambulatorio il prima possibile (la sera ho scoperto che invece era in ambulatorio anche all'ora di pranzo per un intervento). Mi ha risposto Paolo. Ricordo di essere entrata in casa ed essermi buttata a terra un paio di volte e stavolta non ho visto le facce dei miei pisitti. Ho preso l’acqua ossigenata, una cucchiaiata di zucchero sotto la lingua e sono uscita ributtandomi ancora a terra. Stavolta ricordo che c'era il mio vicino che mi ha fatto alzare le gambe in alto. Poi gli ho chiesto di chiudere casa ed è andato a prendere la macchina. Con tutte le forse che avevo ho portato Calipso al cancello dove mi ha raggiunto Paolo che mi ha portato alla macchina sistemando Calipso nel sedile di dietro. Io blocco sempre con la cintura i trasportini, ma dovevo farmi forza per non svenire ancora e mi sono solo girata per vedere se l’avesse messa bene sul sedile. Appurato con uno sguardo che era ben posizionata e che difficilmente poteva cadere, mi sono rigirata chiedendo di abbassarmi il sedile e sono rimasta semicosciente per un pochino con una voglia di vomitare che solo il desiderio forte di portare Calipso dal veterinario me lo ha impedito. Arrivata a Quartu ho iniziato a sentirmi più in forma. Potevo perfino tenere di nuovo gli occhi aperti. Son scesa dall'auto e ho consegnato Calipso a Paolo. Che sollievo, era nelle mani del veterinario, in clinica. Potevo andare al pronto soccorso. Paolo, il mio vicino, mi ha portata al Marino e lì tutto sommato non ho aspettato molto. Nel frattempo mi ha telefonato il veterinario per dirmi che Calipso non era in pericolo di vita. Mi conosce bene e sa che vado in ansia facilmente. Poi mi ha spiegato che aveva una lesione cutanea nella parte interna della coscia, suturata. Dalla lastra si evidenziava una lussazione del femore. Il tutto è compatibile con un incidente stradale per quanto non abbia trovato segni di pneumatici. Avrei potuto riprenderla l’indomani mattina. L’avrebbe tenuta lui di notte sotto osservazione anche perché sotto shock. Se l’avessi trovata il giorno dell’incidente sarebbe bastato un piccolo intervento per rimetterla apposto, ma essendo trascorsi diversi giorni la testa del femore, se non ho capito male, va incontro a necrosi e allora si rende necessario un intervento per tagliarla e in questo modo il femore riforma una sorta di cartilagine rimettendosi in posizione. Questo intervento non è più così urgente e pertanto si può far tranquillizzare la gatta in attesa di prendere una decisione. Anche Eco aveva una lussazione ma ha ripreso a camminare perfettamente. Quindi l’idea è aspettare una decina di giorni e vedere come reagisce lei in modo naturale, dopo di che si prenderà la decisione.
Alle 20 sono andata a trovarla. Mi ha soffiato e poi si è tranquillizzata un pochino, ma era evidentemente stressatissima. Sulla vaschetta della lettiera mi guardava sofferente. Accidenti non ho pensato di portarle il suo cuscino. Affianco le fusa di due micini tignosi e di una coppia forse madre e figlio di mielini. Tanti poveri cagnetti silenziosi. Sono tornata a casa e ho iniziato la mia cura antibiotica, antidolorifico e due goccine per riposare con Oscar incollato come un orsacchiotto.

E poi stamattina l’ho riportata a casa. Inizialmente era nervosa e sono uscita dalla mansardina, ma poi ho visto che mi cercava e sono ritornata dentro. Si è avvicinata per farsi accarezzare e ha iniziato a fare le fusa. Ok, pace fatta! Ha girato la mansardina, odorando tutto finché non ha trovato nell'igloo la sua cuccia scegliendo tra un trasportino aperto, la sua cesta col cuscino e la cesta estiva di Ester. Le ho messo un cuscino e di tanto in tanto salivo a controllarla. Ha smesso di miagolare ed è rimasta lì dentro. Mi sono anche preoccupata che non stesse male, visto che da lì non usciva e dormiva tanto. Le ho messo croccantini pochi per volta dentro l’igloo e se li è mangiati comodamente. Più tardi sono salita e lei mi è venuta incontro per poi tornare subito dentro l’igloo. Scuramente ha dolore. Le ho messo dentro un piattino di Recovery, avanzato dall'ultimo nutrimento di Codino e ha mangiato un bel cucchiaio. Fusa e impasto in quantità. Ho messo poi dei coperchi di cartone rovesciati attorno alla vaschetta della lettiera in modo da creare un piccolo gradino con un'ampia base per facilitarle l’ingresso e l’uscita e l’ho posizionata appena di fronte alla cuccia. Cibo secco e acqua affianco alla cuccia, il piattino di recovery proprio di fronte. Sono le 21 passate e lei riposa, protetta dai pericoli e con tutti i confort che spero di averle dato. Io inizio a realizzare ciò che è successo. Sino a poche ore fa era come se tutto questo l’avesse vissuto un’altra me…a parte il dolore alle mani che ho sentito proprio riguardarmi intimamente! Le mie mani? Gonfie, alcune dita limitate nei movimenti dall'infiammazione, tutte doloranti, il mignolo della mano destra immobile e insensibile ma dolorante. Ma quel che devo fare faccio, con più sforzo magari e qualche smorfia di dolore ma lo faccio. Guariranno. E pure Calipso.

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