giovedì 10 dicembre 2015

10/12/2014. Un anno senza te

Non ho fatto che pensare in questa ultima settimana a cosa avrei potuto scrivere oggi per te. Sarebbero tante le cose che dovrei dire di te, del gatto speciale che sei stato e riuscire ad essere sintetica non è affatto facile. 
La prima cosa che mi viene in mente sono la tua forza e vivacità. Quante prove hai affrontato con la tua malattia e quante volte ti sei ripreso in modo repentino e senza neanche uno strascico. All'improvviso barcollavi e cadevi a terra stremato, fermo sotto l'elicriso dove rifuggivi e poi l'indomani o pochi gironi dopo zampettavi al mio fianco come se niente fosse. Avevo una scorta di medicinali, avendo imparato a riconoscere i sintomi dopo una telefonata al veterinario ero già pronta a darti le pastiglie. 
Poi mi viene in mente la devozione  nei miei confronti, il tuo starmi attaccato ovunque andassi, il seguirmi al cancello quando andavo al lavoro e il tuo venirmi incontro al mio rientro. La tua socievolezza. Eri così con tutti quelli che venivano a casa, estranei per te. Eppure non esitavi a ribaltarti sulla schiena e mostrare loro la pancia per farti accarezzare. Tu non solo animavi il giardino come la piccola e vivace Pollon, lo facevi risplendere. Con te era tutto più bello: i fiori, l'erba, il viale dell'elicriso. 
Ho una grande colpa nei tuoi confronti, quella di essermi arresa prima ancora di combattere. Avrei dovuto portarti di nuovo dal veterinario, magari farti ricoverare, forse ti saresti salvato. Ma se così non fosse stato avrei avuto il grande rimorso di averti fatto morire solo in una clinica. In questo modo ti ho tenuto nel tuo giardino. Ho spostato la cuccia dalla quale ormai non eri in condizione di uscire e l'ho messa di fronte alla mia porta, quella porta che prendevi a zampate quando dietro vedevi Oscar. Eri vicino a me in quel modo. Ho preso un giorno libero per vegliarti, ma tu te ne sei andato il giorno dopo quando sono tornata al lavoro. Non hai voluto mangiare quella mattina, solo poche leccatine di pappa imboccata. Me lo ricordo ancora quando sono andata via e ti ho lasciato lì. Sono uscita prima dal lavoro per correre da te, ma tu avevi gli occhi chiusi, sembravi addormentato stavolta. Ti ho preso in braccio già capendo che non c'eri più e hai emesso un rantolo, il tuo ultimo respiro...o forse eri già morto. Eri ancora caldo Codino mio. Non riesco a dimenticare il dolore di quei giorni, precedenti e successivi. La tua è stata una lunga agonia, di cui mi sento in parte responsabile perchè ho deciso di lasciarti a casa anziché portarti in clinica. Ma eri in giardino, nel tuo giardino. Dopo di te il giardino non ha avuto più un guardiano, il capo Codino era morto e con lui l'anima del giardino. Ti ho messo nel viale dell'elicriso, perché lì ti rifugiavi e lì continuo a sedermi ancora oggi per salutarti. Il ciclamino è ancora vivo per te e l'elicriso che ho piantato tra le pietre che ti coprono sembra essersi fermato insieme a te.
So che ci sei in qualche modo. Continui ad esserci ma mi manca la tua testa così grande da accarezzare, le tue testate e il tuo corrermi davanti per poi buttarti a terra a pancia in su per essere coccolato. Mi manca la tua compagnia che mi segue in giardino, i tuoi miagolii e la tua presenza dietro la porta di casa quando sollevo la serranda ogni mattina. Piccolo Chiodin Chiodetto, gatto dolce e affabile come pochi, ubbidiente e socievole come un cagnolino. Ma un gatto. Il miglior gatto che si possa desiderare.
So che ci sei. Ci sei quando mi riporti indietro le "extrapisitte". Ci sei nel ritorno di Zefiro dopo una settimana, nella ricomparsa di Venere dopo ore che la cercavo e perfino nel ritrovamento di Calipso. In qualche modo ci sei. Sarà bello poterti ritrovare un giorno nel giardino fatato dove ora rincorri felice le farfalle sempre attento però ai miei richiami, sempre pronto a corrermi vicino e ad esaudire le mie preghiere di protezione dei pisitti di Capitan's Valley.

Piccolo e immenso Codino.


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