-Mami mami devi finire la storia della principessa dai capelli d'argento-
E' vero pisittino...allora iniziamo.
La giovane principessa chiusa nella stanza della nonna ebbe il tempo di rileggere per intero il diario. Aveva sempre avuto una straordinaria memoria e pertanto ricordava per filo e per segno ogni pozione e ogni formula magica necessaria per combattere le maledizioni della strega e non solo. Aprì il cassettino dove era raffigurato il pettirosso e raccolse con un cucchiaino polvere di zolfo, poi aprì quello della cinciallegra e raccolse mezza dose di fiori di elicriso; poi prese due gocce di acqua di rosa, una scheggia di legno di olmo e una piuma di gazza ladra. Mise il tutto in una ciotola di quercia e con un mortaio iniziò a pestare e amalgamare. Poi si tirò via un capello d’argento e un brivido le percorse la schiena. Lo unì al tutto e man mano che pestava il capello si scioglieva e man mano che il capello si scioglieva il composto assumeva una colorazione uniforme. La miscela color giallo paglierino era pronta.
Intanto fuori dal palazzo i contadini armati alla buona chi con forconi, chi con zappa chi con pietre cercavano di fermare i ratti. A loro si unì Kastur che con la sua spada riusciva a pietrificarne decine alla volta, ma esausto e poiché all’alba i topi si ritirarono in massa scomparendo nel bosco, decise di rifugiarsi all’interno delle mura del palazzo.
Nel mentre il grande sacerdote aveva fatto rientro con la regina e sua sorella, una donna scura dai lunghi incisivi. I tre ragazzi abbracciarono la madre e piansero tutti insieme la morte del povero Ruius. La presenza della zia fu in qualche modo di consolazione per la regina e per gli stessi ragazzi. La tregua che non si sa per quale ragione la strega dalla coda di topo aveva concesso fu molto utile a corte per organizzare la difesa del regno. La principessa dai capelli d’argento diede la miscela al grande sacerdote che si stupì della sua capacità di apprendere velocemente i segreti alchemici della nonna. Era l’antidoto al marciume delle stoffe e dei campi. I contadini riuscirono così a recuperare gran parte del raccolto e per i successivi giorni avrebbero avuto la farina per preparare il pane. L’unica condizione da rispettare affinché l’antidoto facesse effetto era che la zia non solo non fosse presente durante il suo utilizzo, ma che dormisse di un sonno profondo e, poiché era mattina, la principessa dai capelli d’argento le diede una potente tisana alla melissa e passiflora con bava di ghiro e polvere di peli d’orso e la zia dormì profondamente per l’intera giornata. La maledizione che era caduta su di lei era sempre attiva e la sua presenza faceva marcire i campi di grano.
Satim propose l’idea di trasformarsi in topo così da potersi confondere tra i soldati della strega e riuscire a ucciderla, ma la regina si oppose. Era troppo pericoloso e lei aveva già perso il marito e il figlio per colpa della perfida strega. Otto schiere di soldati provenienti ognuno da ciascuna delle otto terre si posizionarono attorno alle mura del palazzo in difesa della Regina e del regno.
Le ore trascorsero veloci e la tregua finì di nuovo al tramonto quando i bambini iniziarono a strillare e i primi topi a gironzolare per i campi distruggendo tutto ciò che si trovavano davanti.
Qui e là in tutto il regno scoppiavano battaglie tra ratti e contadini. Ad avere la meglio erano a volte i contadini a volte i ratti. E della strega nemmeno l’ombra.
La zia si era svegliata e filava nella sua stanza, da sola. All’improvviso nel pavimento della sala del consiglio si formò una crepa che divenne sempre più grande e dalla quale uno dietro l’altro uscirono i topi. Avevano scavato sotto terra eludendo la schiera difensiva esterna. Il palazzo era invaso dai topi e i loro squittii si confondevano con le strilla dei bambini. Dal camino della stanza della regina uscì volando come un pipistrello la strega dalla coda di topo. Kastur non fece in tempo a pietrificarla che un colpo di frusta lo fece cadere a terra privo di sensi. Il sommo sacerdote si mise davanti alla regina e le fece scudo col proprio corpo, pronto a dare la vita per lei, ma la principessa dai capelli d’argento riuscì in tempo a gettare polvere di rame sulla strega pronunciando la formula magica “aramecùpru indìcit laja!”. La strega si bloccò immobile con gli occhi blu notte che le uscivano dalle orbite, la coda vibrava per aria come elettrizzata e dalla bocca le usciva una bava color rabarbaro. Subito la principessa corse verso il sacerdote dicendogli di portare la madre nella stanza della nonna dove avrebbe trovato una miscela da farle bere, un miscuglio di Alchemilla, Fiordaliso, polvere di quarzo rosa e lacrime di istrice che l’avrebbe rimpicciolita fino a poter stare dentro il ciondolo del sacerdote che, a sua volta, bevendo un altro intruglio sarebbe diventato invisibile. Infine la principessa gettò un suo capello sul fratello che si riprese più forte di prima e lanciò la pietrificazione sulla strega. In fondo alla sala si intravide una sagoma col liuto in mano e man mano che si avvicinava assumeva sempre più le sembianze di una donna dai capelli lunghi, la zia. Aveva il volto trasfigurato, una mantella grigia che non le avevano visto prima e sotto la gonna anche lei una lunga coda di topo. La principessa lanciò uno sguardo di terrore a Kastur ma si sentì afferrare da dietro e spingere sul pavimento. Due ratti luridi la tenevano bloccata a terra, mentre la donna si era gettata al collo del povero Kastur. Ma questi, che aveva ancora ben salda la spada in mano, gliela conficcò nel ventre; la donna lanciò un urlo di dolore e poi una risata squillante. Non mollava la presa, era più viva di prima. Un terzo ratto corse verso la strega pietrificata e la gettò violentemente a terra rompendola in mille pezzi. Kastur estrasse la lama dal ventre della donna e riuscendo a divincolarsi si gettò prima sul topo trafiggendolo nel petto e poi si voltò a pietrificare la zia che però era scomparsa. Il topo colpito mortalmente nel cadere a terra perse il medaglione che rimbalzò ai piedi di Kastur, il quale realizzò con orrore quale terribile atto avesse compiuto. Satim, che disobbedendo alla madre si era trasformato in topo, giaceva a terra morto per mano di suo fratello. Una donna dai capelli neri e gli occhi blu si sollevò dalle macerie. Non era la strega come tutti avevano creduto all’inizio ma la zia che uscì dall’incantesimo proprio grazie a Satim, sul quale zia e fratello si gettarono in lacrime.
Nel mentre la principessa era sparita e con lei la strega dalla coda di topo che aveva ripreso le sue vere sembianze.
-Mami mami dove è finita la principessa?-
La strega aveva portato la principessa nella casa del bosco e lasciato che i topi continuassero a seminare morte e distruzione nel regno. Sapeva che se avesse voluto conquistare il regno avrebbe dovuto uccidere sia la regina sia la figlia; così pensò che rapire la figlia avrebbe attirato la madre nella trappola. Decise di far fuori la principessa che venne legata a un palo immerso in un pentolone d’acqua bollente. La principessa fece finta di essersi arresa e lasciò trascorrere i minuti che volgevano velocemente all’alba quando la strega non avrebbe avuto alcun potere e lei ne avrebbe approfittato per liberarsi. Conosceva bene la formula per sciogliere i nodi come quella per raffreddare i bollori. Nel mentre cercò di non svenire per i roventi vapori che uscivano dal pentolone. “Obsistfers!” ripeteva fra sé e sé per resistere all’intenso calore. La strega dopo mezzora si meravigliò del fatto che la principessa fosse ancora viva e decise di gettarla direttamente dentro il pentolone, ma un raggio di sole entrò nella casetta e la strega sentì le forze venir meno, così decise di andare a riposare. Pensò che tanto al suo risveglio l’avrebbe trovata bella che morta, lessata a puntino.
Appena la sentì russare, la principessa si liberò ed entrò nella stanza della strega. Era buio e c’era freddo ma la principessa si tirò un capello d’argento e illuminò la stanza. In fondo in un gigante mortaio sentiva russare la strega. Si avvicinò ed estrasse dalla tasca una pozione di veleno mortale che aveva preparato seguendo le ricette della nonna. Vi era lingua biforcuta di serpe viola, piuma di avvoltoio, saliva di drago e, più velenoso di tutti i veleni, sangue delle anime dannate che conferiva a tutta la pozione un colore nero brillante. Si avvicinò pronunciando “Stillvestium” che le conferiva la delicatezza e la leggerezza silenziosa della farfalla. Si piegò sul corpo della strega e gettò due gocce sulle sue labbra. “Ah ah ah!” una risata stridula alle sue spalle la fece trasalire. Si voltò e vide non una ma nove streghe, una identica all’altra in cerchio tutte attorno a lei. Come era possibile? Cosa stava succedendo? La principessa si levò un capello e lo mise nella pozione velenosa che raddoppiò di volume. Il cerchio si stringeva sempre più, le risate si facevano eco l’una con l’altra, e il freddo diventava sempre più gelo. La fissavano con occhi neri e piccoli. La principessa girava su se stessa cercando una improbabile via di fuga. Poi capì. Si girò verso la strega dormiente nel mortaio e gettò tutta la pozione nella sua bocca. Le nove figure iniziarono a contorcersi e a urlare dal dolore sino a cadere in terra sotto forma di polvere. La strega, nel disperato tentativo di sopravvivere alle gocce di veleno, aveva proiettato le sue nove vite, anime con la coda, ma avendo ricevuto una dose potentissima di veleno anche le sue anime erano morte. Nel mortaio giaceva uno scheletro con una mantella grigia.
La principessa dai capelli d’argento era salva e corse a palazzo dove i contadini stavano bruciando in un grande falò le centinaia di carcasse dei topi. I campi erano rigogliosi, i prati in fiore e a palazzo le vennero incontro la madre, il fratello Kastur e il grande sacerdote. Tutti la abbracciarono tra lacrime di gioia e di dolore. Poi comparve la zia, una bellissima donna dai capelli neri lucenti, gli occhi blu cobalto e un sorriso perfetto. Con la morte della strega era svanito l’incantesimo e si era trasformata nella bellissima donna che anni prima aveva visto riflessa nello specchio del granaio.
Nei giorni a venire il regno riprese la sua normalità, nessun bambino si udì strillare e la pace regnò sovrana. La zia ricamava abiti dai colori brillanti e suonava l’arpa allegramente circondata dai bambini festanti. Era la vigilia del sedicesimo compleanno della principessa e si decise di fare una festa anche in onore dei fratelli defunti.
La principessa dai capelli d’argento e gli occhi rubino espresse i suoi tre desideri davanti al sommo sacerdote. Sarebbe stato bello far rivivere il padre e i suoi due fratelli, ma sapeva che non si possono riportare in vita i morti. Così, come primo desiderio, chiese al sommo sacerdote di poter incontrare ancora una volta i suoi cari defunti e il sacerdote glielo accordò con molta generosità: ogni seconda luna piena avrebbe potuto parlare e incontrare nel regno delle ombre i suoi due cari fratelli, Ruius e Satim e il suo adorato padre. E almeno una volta all’anno a tale incontro avrebbero potuto assistere la regina e Kastur. Il secondo desiderio era che nel regno degli otto vulcani vi fosse la pace per almeno 100 e 1000 anni. E infine, il suo sogno da quando era bambina: diventare la fata dei fiori e delle farfalle. Così fu.
In tutte le terre degli otto vulcani i campi di primule si alternavano a campi di margherite dai mille colori, e nell’aria il profumo di gelsomino si confondeva con quello di rosa selvatica e di lillà. Mille farfalle colorate danzavano festanti sui prati e ovunque passasse la principessa dai capelli d’argento i fiori sbocciavano e le farfalle danzavano. E vissero felici e contenti.
Nessun commento:
Posta un commento